Impressioni su Nations

Esperienza strana quella di Nations che comunque rispecchia ciò che la scatola promette, ovvero: un gioco di civilizzazione.
Qualcuno giocandoci si è sentito Romano dentro? Non credo. Personalmente ho vissuto un’esperienza da Santo Patrono della civiltà a me affibbiatami dal caso. Ho coccolato i miei cittadini (= puzzilli), ho bruciato i loro collegamenti neurali e amorevolmente li ho condotti verso la modernità ordinandogli ora di essere minatori, ora di essere ranger, ora liberi pensatori.
Sedersi ad un tavolo di Nations comporta due impegni diametralmente opposti: o si guarda il gioco come un’accozzaglia di carte, puzzilli e potenziali combo da ordinare e massimizzare oppure si lavora di fantasia e ci si stupisce a vedere i propri lanzichenecchi egiziani conquistare la Groenlandia intanto che a casa si studiano i combustibili per razzi. Risultato soddisfacente? Mah…
A livello materiali tutto sta al suo posto a parte le risorse che hanno la tendenza a debordare da tutte le parti. Le carte, anche se con disegni “minimal” sono ben dimensionate e leggibili; le plance accolgono tutto quel che devono accogliere (a parte le risorse) anche se quelle dei giocatori sono un po’ leggerine ed imbarcabili; i colori non danno fastidio e non costringono ad acrobazie per distinguerli. Lo scatolone sovradimensionato preoccupa il portafoglio per la possibilità di inserirci una quarantina di espansioni, ma sarà un problema solo per i collezionisti.
L’ambientaz…che? Beh, è un gioco di civilizzazione, dura ambientare quattromila anni di terra in un gioco. Cosa? Le plance sono tutte uguali? Nooo! Sul lato B delle plance hai delle azioni speciali. Vabbeh. Qualcuno vuol giocare a Skip Bo?
Per fortuna c’è il regolamento che non lascia molti dubbi anche se è stato necessario un supplemento per i vari poteri speciali delle meraviglie e dei consiglieri ma è una pecca banale; subito si potrà iniziare a giocare in maniera abbastanza coerente con soddisfazione da 2 a 5 giocatori. Il numero assurdo di carte e l’uscita totalmente randomica delle stesse lascia intuire che ben difficilmente si riuscirà a stabilire una strategia vincente, meglio lasciarsi guidare dalle correnti dell’alea e puntare al massimo sempre e subito; oddio, alcune regolette in base al numero dei giocatori ci sono ma sono talmente evidenti che il non capirle porterà lo sventurato giocatore a passare un paio d’ore ad annaspare alla disperata ricerca del minimo per sopravvivere (e non sarà divertente intanto che gli altri si dilettano con carri armati, scoperte scientifiche e costruzione del Louvre) mentre i punti vittoria attraccheranno in porti lontani.

Dunque, gira le carte, compra le carte, piazzaci su gli ometti, guarda i simboli e riscuoti/paga le risorse. Ogni tanto guarda gli altri come stanno a forza militare per non incorrere in penalità e occhio ai libri che sembrano punti vittoria ma non lo sono ma te ne fanno fare (soprattutto se si gioca in 5). Non una botta di originalità ma il meccanismo gira abbastanza bene superando anche i conteggi parziali che obbligano, se qualcuno non l’avesse ancora capito, a non avere una strategia in quanto tutti devono preoccuparsi di tutto. Sembra quasi che i nostri creatori Finlandesi abbiano fatto di tutto per togliere qualsiasi tentazione di controllo al gioco, però subdolamente! In pratica non ti accorgi che non puoi far nulla contro il destino. Quasi filosofico questo titolo.


(Foto scattata da S. Tim Park)

materiali ***
ambientazione *
regolamento ****
scalabilità *****
rigiocabilità ****
innovazione **
interazione ***
meccaniche ***
strategia *
tattica *****

GIUDIZIO 6.5

Impressioni su Russian Railroads

Dunque, un giocatore cosa potrebbe aspettarsi da un gioco con questo titolo? Immagino un guerra senza esclusione di colpi nel gelido inverno sovietico al fine di completare la più moderna ed efficiente rete ferroviaria ottenendo così gli elogi del Politburo.
Non è così.
E’ vero che ci sono gli operai, gli ingegneri che aiutano e spronano gli operai, è vero che c’è il freddo dell’ambientazione (un freddo così l’ho provato poche volte), ma si fa proprio fatica ad immaginarsi l’opera in corso. No, non ci si sente né operai congelati e neppure potenti magnati dell’acciaio. Ci si sente piuttosto degli scacchisti alle prese con pochi pezzi e tante varianti.
Una plancia che si spiega da sé, vagoncini ed operai funzionali, tessere solide che si incastrano in maniera ottimale, grafica colorata ma non in maniera da far venire il mal di testa o un edema corneo per riuscire a distinguere tutte le informazioni contenute nella plancia. Un piacere per gli occhi e per le mani.
Il regolamento è chiaro, semplice, conciso, lineare. Piccoli dubbi ai primi conteggi dei punti immediatamente fugati da una seconda lettura dei punti importanti. Un gioco comprensibile anche ai più giovani.
Il gioco scala abbastanza bene, a seconda del numero di giocatori però si sente un leggero ma persistente retrogusto amaro dell’obbligo di strategia soprattutto se si gioca sempre con la stessa compagnia ed in meno di 4 giocatori (limite massimo).
Per poterlo dominare occorrono svariate partite. Personalmente comincio ora ad annoiarmi a giocarlo in due dopo una cinquantina di partite anche se continuo a sperimentare varianti (di norma fallimentari) alle mosse “logiche”.
Le meccaniche non presentano nulla di nuovo sul fronte orientale. Piazzamento lavoratori, pesca tessere, tre bei percorsi che danno bei bonus. Se si può parlare di innovazione è la miscela del tutto a filar via liscia come l’olio, le meccaniche scorrono talmente lineari che sembrano quasi noiose. Sono invece “solo” ottimamente incastrate.
L’interazione indiretta è presente anche se non vuole disturbare (sembra quasi la filosofia del gioco) ed anche in questo caso dipende molto da numero dei giocatori. Mentre in 2 è veramente un continuo “massimizzo la mia mossa o minimizzo quella dell’avversario?” dando sempre un’occhiata a quello che ha fatto l’avversario, in 4 si tratta di correre per ottenere il massimo da ogni mossa. Troppo difficile marcarsi stretto e guardarsi alle spalle.
La strategia è di una semplicità disarmante: due partite e tutto è chiaro, così come sono chiare le contromisure. Non è certo il punto forte del gioco.
Discorso esattamente opposto alla strategia è la tattica, qui tutto è mutevole, soprattutto dovendo reagire immediatamente alle mosse degli avversari; un errore ed il treno dei punti prende irrimediabilmente una strada differente dal destino del distratto.
Inizialmente sono rimasto estremamente colpito dal flusso delle azioni quasi “zen”. Il nostro è un gruppo che tende molto alla scontro e le prime partite si sono sviluppate tutte sul “togli le traversine all’avversario”, con l’andare del tempo però la tendenza è stata quella di “mascherare” le proprie intenzioni piazzando le zampate giuste al momento giusto. Grazie alle diverse possibilità di gioco la sua longevità non è così limitata come può sembrare anche se non è sicuramente il gioco definitivo: freddo, fondamentalmente astratto, interazione diretta assente; personalmente non mi sogno le partite che ho giocato però mi piace. Mi piace lo scontro simile ad una partita di Hive, mi piacciono le veloci modifiche di strategia come in Le Havre, mi piace la chiarezza dei flussi come in Antike Duellum.
Ecco, forse è proprio questo il suo grande difetto: è un gioco troppo “giusto”, troppo “perfetto”; pare che gli autori abbiano svolto il loro compito senza una sbavatura, senza una virgola di troppo, però senza cuore.


(Foto scattata da Ron).

materiali *****
ambientazione *
regolamento *****
scalabilità ***
rigiocabilità ****
innovazione ***
interazione ****
meccaniche ****
strategia **
tattica *****

GIUDIZIO 7

La magia di Play, fiera del gioco a Modena (06-07.04.2013)

E’ il secondo anno che collaboro con l’associazione Casus Belli di Latina e per il secondo anno ho presentato Memoir ’44.

La magia citata nel titolo si fa sentire già a partire dalle 08.30, orario di apertura dei cancelli per espositori e dimostratori. La vastità degli spazi ancora vuoti, l’immensa spianata dei tavoli in attesa di essere presi d’assalto, i saluti agli amici incontrati l’anno prima e letti periodicamente sui vari forum,  i volti seri dei collaboratori alla ricerca dell’ultimo cartello o della scatola da esporre che puntualmente è nascosta in fondo alle borse e poi l’annuncio all’altoparlante: Signori, apriamo le casse ai visitatori.

Un ultimo bel respiro, un sorriso ai vicini di stand e via.

Sorridi, spiega, prepara il prossimo scenario, ringrazia, saluta, ridi, scherza, togliti quel sorriso ebete quando guardi la cosplayer ninja in reggipetto (piccolo) e pantaloncini (ancor più piccoli), informati ed informa, ascolta, incontra il venditore che ti deve consegnare tre tesori usati (nuovi). I giocatori ai tuoi tavoli hanno capito tutto e si divertono a tirare n-mila dadi e spostare gloriose fanterie e tremebondi corazzati, hai un attimo di pausa e ne approfitti per bighellonare un attimo tra gli stand. Ecco Tizio, devo salutarlo. E Caio, come è andato il torneo? E Sempronio, allora pronto il nuovo regolamento? Già stampate le prime espansioni? In bocca al lupo! Insomma, un sogno che si avvera, e seppur ti senti sperduto in questo oceano di colori e regole, sei però ben cosciente che tu, piccolissima rotellina nell’ingranaggio, il tuo sporco lavoro lo stai facendo (a vedere i volti degli ospiti al tuo stand, anche parecchio bene). Sporco lavoro? Fossero tutti così gli sporchi lavori! Non fai a tempo a renderti conto che hai fatto giocare 40 partite che è ora di chiudere. Per fortuna che gli amici Reggiani hanno prenotato a “La capra” a Codemondo dove con 20€ mangi e bevi come Luigi XIV durante la festa di compleanno. Ora però è il momento di andare a nanna (anche perché, dopo aver giocato a Twilight Struggle fino alle 3 di sabato mattina, il fisico non regge più come una volta).

Il mondo fatato dove stai vivendo non muta al sorgere del sole della domenica. Un po’ più di apprensione perché oggi ci devi arrivar da solo alla fiera, ma tutto sommato la strada ti è amica; ed ancora una volta ti scopri a sorridere guardando le facce meravigliate di bambini e giovani che hanno l’espressione di Alice mentre vaga nel paese delle meraviglie e tu, da buon cappellaio matto offri tazze di te drogate da chili di fantasia. Giunge finalmente la sera. I visitatori si diradano e l’aria, grazie anche all’apertura delle porte di sicurezza, si rinfresca. L’adrenalina cha ha accompagnato tutti a poco a poco scompare e restano espressione stanche ma felici. A fatica dadi e miniature rientrano nelle scatole ed ancor più a fatica le scatole verranno portate nei bauli, come se non ci si volesse distaccare da questo luogo senza aver ascoltato un ultimo bis.

Ma la vettura conosce a memoria la strada ed in un battibaleno (stazione di Terrazzano esclusa) ti ritrovi nell’accogliente vialetto di casa stanco, sudato, assetato, affamato, con la testa già piena di progetti per l’edizione dell’anno venturo.

Campagna WH40K Giochintavola & Varese Wargames

E’ finalmente cominciata la campagna insubrica di WH40K.
Molte sono le fazioni in campo, molti gli obiettivi individuali e molta ancora la strada da fare.
Analizziamo comunque i primi indecisi passi dei nostri eroi (per quel che ho sentito) nel settore appena fuoriuscito dal warp.
 
Blood Angels
Innanzitutto un plauso al loro comandante Xvegantunax che ha aperto le danze con una prestazione che probabilmente resterà negli annali.
Mantenendo fede al background del suo esercito si presenta da buon gradasso dell’Imperium con 260 punti in meno piazzandosi a far le boccacce dinnanzi ad uno schieramento di Guardia Imperiale rinnegata laseruta, plasmuta e artigliuta.
Tralascio il dettaglio dello scontro parificabile ad una sardina che fa a testate con un capodoglio.
La medaglia al valore con menzione “Brightest deflagration colours” non gliela leva nessuno.
 
Orks
Al grido di “Me ne frego!” incontrano un esercito caotico riuscendo nell’intento di farne pezzettini di ricambio per le fantasiose creazioni del loro Kapone.
Eliork non solo sta assemblando un’orda variopinta e particolarmente caratterizzata, ma pure mortale.
Attenzione a quel che riuscirà a trovare in giro per i campi di battaglia.
Menzione speciale per la preparazione dei bignè.
 
Eldar
“Veni vidi vici” disse a suo tempo un grande imperatore e il carro più colorato del Carnival do Bahia non scende a compromessi. QG schierati in assalto e pronti a dar battaglia a chiunque; falchi svolazzanti aippano sprezzanti in faccia a Predator, infiltratori che sfruttano tutti gli spazi delle pur strette maglie avversarie.
Aggiungiamo pure la capacità di defilarsi strategicamente (a Monte Carasso si dice “fuga vigliacca” ma tant’è… chi vince ha ragione…) ad obiettivi raggiunti ed otteniamo un mix pericolosissimo fra senso strategico e capacità tattica.
Ogni tanto qualcuno inciampa e ci lascia la folta chioma ma ogni guerra necessita i suoi martiri.
Diploma olimpico nella disciplina “Ora son qui… oplà ora son qua”, non voltategli le spalle!
 
Grey Knights
Volano alto, molto in alto.
Prima battaglia nello spazio e prima vittoria (sconosciuta la forza avversaria), poi la gravità ha ragione sulla fede. Le stormraven saranno anche volanti ma sono grosse, forse troppo grosse per essere messe in campo contro la saturazione di una guardia imperiale. Lo sbraaang lo si è sentito fin sulla terra e adepti alla custodia dello scranno dell’imperatore narrano di un balzo delle funzioni vitali della luce dell’Imperium come se avesse preso un bello spavento.
Non meglio fanno i corazzatissimi Terminator che inseguono ma non raggiungono un motivatissimo gruppo rinnegato trasportante una reliquia. Pesanti ilazioni sull’uso di sostanze dopanti da parte dei caotici rischiano di inficiare il risultato della competizione ma il relatore (e son sicuro anche alcuni lettori) confidano nel Grande Costruttore affinchè soprassieda a questa leggerissima infrazione e confermi il risultato. Se un cavaliere difensore della religione grosso, cattivo ed arrabbiato non riesce a recuperare una preziosissima reliquia al secondo turno beh… la deve pagare.
In fondo la partecipazione alla maratona engadinese ha già fruttato loro la medaglia d’oro nella gara di tuffi da grandi altezze senza trampolino e senza paracadute.
Da rivedere.
 
Salamanders
Non giocano. Se ne stanno al calduccio nelle loro astronavine, passeggiano per lo spazio, si fanno mandare a quel paese da navi sconosciute e seminare da navi caotiche che stanno insieme con lo sputo, trovano infine un pianetucolo dove si sta festeggiando qualcosa. Ah no, non si festeggia nulla, stan saltando allegramente mezzi da sbarco e navi in sub-orbita.
Decide saggiamente di sbarcare nel praticello sul retro.
Affaire à suivre.
Nel frattempo Groblnjar acquisisce il certificato “Investigatore dell’anno 2013″ nella categoria “Trova il frigo nascosto”.

Occhio critico – Twilight Struggle

Passiamo al miglior gioco secondo Boardgamegeek: Twilight Struggle. Pubblicato nel 2005 non ha perso un grammo del suo fascino. Gioco lungo e portatore di tensione a ogni pescata di carte, sempre in bilico tra l’espandere la propria influenza e il cercar di mettere i bastoni fra le ruote dell’arci-nemico, alea presente e presente pure il pericolo che il gioco prevalga sul giocatore sprovveduto ma… anch’esso non esente da pecche. Ecco a voi quelle più evidenti (estrapolate da commenti fatti al gioco da utenti presenti su Boardgamegeek con la mia rispettiva analisi).

Da segnalare il pessimo manuale, nel senso che è scritto in modo fitto e per nulla docile alla lettura o alla ricerca di chiarimenti.
Esempio:
6 – Operazioni
6.1 – Piazzamento segnalini operazione
6.1.1- 6.1.2 – 6.1.3 – 6.1.4 – 6.1.5 – 6.1.6 (ogni paragrafo un numero identificativo)
6.2 – Tiri di riallineamento
6.2.1 – 6.2.2 – 6.2.3
6.3 – Tentativo di un colpo di stato
6.3.1 – 6.3.2 – 6.3.3 – 6.3.4 – 6.3.5
6.4 – La corsa allo spazio

Devo andare avanti? Ok, il tutto corredato da esempi di gioco (insomma è tutt’altro che pessimo, anzi).

Lo scontro ideologico, politico e militare tra Unione Sovietica e Stati Uniti viene filtrato e elaborato secondo una visione, una sensibilità e una morale prettamente Statunitense.
La bella teoria del complotto universale. Anche quando vince la Russia in verità perde…

Gioco veramente complesso dove il giocatore è costretto a pianificare ogni singola mossa per sperare di vincere. Non gli do il massimo solo per il fattore fortuna nella pesca delle carte.
Trattandosi di un card-driven…

Molto bello, direi affascinante, ma anche un po’ pesante (e lungo). Purtroppo essendo un gioco solo da due non ci si gioca quasi mai.
Eh sì, farà la fine degli scacchi…

Nelle partite più equilibrate (leggi noiose)…
E’ vero! Anche a Subbuteo comincio a eccitarmi solo quando vinco 10-0!

Aggiungo due chicche; non ho mai scritto la provenienza dei recensori, ma questi due americani mi hanno veramente colpito per la capacità di analisi della loro esperienza ludica:

1 – L’ho giocato quando ero stanchissimo e non sono riuscito a capirlo.
Il voto risulta essere un 5/10, non ho capito se ha votato il gioco o lo stato dei suoi neuroni.

2 – Ad oggi non l’ho ancora giocato. Le tre ore di gioco sono assolutamente improponibili per mia moglie, ma ama il tema.
A onor di cronaca la recensione non è stata seguita da un voto, plauso alla coerenza.

Occhio critico – 7 Wonders

Uno dei giochi che negli ultimi anni ha sconvolto il mondo ludico. Osannato da molti e da altrettanti molti considerato sopravvalutato.
Il draft continuo per tutto il gioco (ispirato a Magic: The Gathering) è stata una grande novità per i giochi da tavolo. Questa meccanica rende ogni partita differente e parecchio ritmata in quanto, giocando sempre in contemporanea, il downtime resta molto basso. Il regolamento semplice e il materiale colorato ed estremamente funzionale (nessuna dipendenza linguistica) fanno di quest’opera un “must” tra i filler e i giochi per famiglie.
Ovviamente una tal genialata non poteva lasciare indifferenti i guru della recensione.
A voi un piccolo collier di perle. I commenti presi da BoardGameGeek non sono estrapolati da un contesto più ampio, sono la recensione completa.

Voto: 9 Commento: Si può anche giocare online
Si può anche giocare per posta! Il draft è un po’ lungo ma per divertirsi questo e altro!

Voto: 9 Commento: Molto innovativo. Perché non ho pensato io a questa semplice meccanica?
Forse perché non ti chiami Bauza?

Voto: 4 Commento: Un filler decente
Non vorrei essere tua moglie quando brucia il polpettone…

Voto: 9 Commento: Ti scorre un flusso di carte in mano e devi “pescare” quelle più adeguate a ciò che hai fatto e che fanno gli altri fino ad allora.
Se non riesci a “pescare” siediti e aspetta di vedere i cadaveri dei tuoi nemici.

Voto: 6 Commento: Quoto il giudizio di XY anch’io. Una grossa delusione e un gioco molto sopravvalutato.
Mitico! Il gioco del “trova la recensione di XY in mezzo a 40 pagine che non ho voglia di consumare i tasti!”

Voto: 6 Commento: Un solitario dove non ti interessa mai il tuo avversario, tranne quando ti servono le risorse e questo è proprio il fatto cruciale. Se ce le ha gli paghi 2 monete e lui non può ribattere. Altra cosa, se ti trovi attorno a giocatori sfortunati o poco eccelsi, non riesci a sfruttarli per migliorarli e perdi inesorabilmente la partita. Materiale bello e colorato, ma per quel prezzo è pur sempre un gioco di carte.
Aspetta, vediamo di capirci:
Difetto 1 (tuo): È un solitario senza alcuna interazione coi tuoi vicini a parte quando vuoi comprare le risorse (nda: che non si esauriscono mai, quindi anche il produttore può utilizzarle); tralascio di ricordarti la fase delle battaglie (obbligatorio alla fine di un’era) che potremmo anche (ironicamente) considerare “ininfluente”.
Difetto 2 (tuo): Se accanto a te (nda: non attorno, l’interazione è solo con i giocatori ai tuoi fianchi) hai delle schiappe o degli sfigati non li puoi sfruttare. Quindi se hai dei bravi giocatori o dei Gastoni le possibilità di ottenere una sorta di “boost” per la vittoria aumentano.
Corollario (mio): Riuscire a contraddirsi totalmente in due frasi rasenta il miracolo.

Il perché sì del perché no

Rubo il titolo da una ferocissima discussione del sito “Il Puzzillo” (sito satirico sui giochi da tavolo), spero non se ne abbiano a male.

Di ritorno dal Festival del Fumetto a Novegro, dove abbiamo collaborato con le Tane dei Goblin di Lodi e Milano, mi ritrovo con un paio di dubbi amletici che mi avrebbero fatto compagnia per un paio di notti a seguire.
Antefatto:
Durante il pomeriggio della domenica una coppia rallenta la sua passeggiata tra le corsie stracolme di action figures e fumetti e si mette a curiosare nella nostra offerta ludica.
Prontamente mi fiondo verso di loro e chiedo se sono interessati o se desiderano provare qualcosa. Il fidanzato/marito (chiamerò lui) è evidentemente incuriosito, lo capisco dal sorrisetto imbarazzato “vorrei ma non posso” che ha dipinto sul dolce, innocente, visino; la fidanzata/moglie (chiamerò lei) è evidentemente disgustata dalla nostra mercanzia sicuramente portatrice di chissà quali squilibri mentali.
Lui accenna ad un “proviamo…” prontamente contrastato da un “No grazie” emesso a labbra strette da lei. Alla mia conseguente domanda “Voi giocate abitualmente?” lei risponde in maniera negativa sottolineando che hanno cose più importanti da fare come pulire la casa, leggere, pensare al lavoro, …

Naturalmente sono oggetto di denigrazione da parte mia quando a fine giornata, commentando i tavoli e gli avventori ci narriamo le nostre esperienze e sensazioni; però…

Però, se da una parte è sì vero che se qualcuno non desidera giocare potrebbe anche evitare gli spazi ludici (solamente per il fatto che distoglie l’attenzione degli animatori da coloro che, mentre giocano, hanno bisogno di un chiarimento o di un suggerimento), d’altro canto, avendo pagato il biglietto, chiunque è libero di andare dove desidera e guardare quel che vuole con l’espressione che gli è più congeniale in quel momento.
Ed ecco il dilemma: sono giustificati le mie lamentele e i miei commenti sarcastici? Dopo notti insonni la risposta è no. Come non sopporto di sentir definire il “giocare” come attività esclusivamente per bambini e/o perditempo così non dovrei permettermi di definire un “non giocatore” come una persona che non ha capito nulla della vita. In fondo ognuno ha i suoi interessi e, soprattutto, la libertà di seguirli o meno. E chi sarei io per permettermi di sbeffeggiare o trattare con superficialità tali persone?
Disponibilità all’ascolto, al dialogo, a spiegare, ad accettare le esigenze altrui. Questa è la misera ricetta per diventare un divulgatore di giochi; per arricchirla basta un pizzico di umiltà, ricordandoci sempre che non siamo i portatori della verità e che ognuno è libero di rifiutare i nostri saggi consigli.

Occhio critico – Formula Dé

Nuova settimana, nuova occhiata critica ad un gioco già inserito nella lista di Giochintavola.
In questo caso parleranno gli esperti di uno dei più famosi giochi di simulazione “light” di corse automobilistiche; vai con la scienza e la sapienza!

Troppo determinante la fortuna coi dadi.
A questa non riesco proprio a trovare un commento.

Il gioco diventa lento con l’aumentare dei giocatori e se avete amici molto riflessivi che contano tutte le traiettorie possibili.
Se invece non ti fila nessuno e ci giochi da solo il gioco è velocissimo, praticamente non aspetti fra un turno e l’altro.

Beh devo dire che tra giochi tipo Caylus e questo ci sono approcci e concetti diversi.
Anche in questo caso sono esterrefatto da una così marcata profondità di pensiero.

Il gioco di per se non è male, ma l’ambientazione non mi attira.
Ottimo inizio per una recensione obbiettiva. Plauso perlomeno all’onestà.

Non concordo che il primo che taglia il traguardo ha vinto (traduzione letteraria), e noi modifichiamo con: quando tutti hanno finito il turno in cui si taglia il traguardo chi è andato più lontano ha vinto.
Noi giochiamo che chi caccia l’urlo più belluino dopo aver ingollato mezzo litro di birra ha vinto.

Unica pecca indipendentemente dal fattore fortuna è il suo acquisto. Io l’ho comprato ma i miei amici non amano le corse e spesso scelgono un altro gioco, quindi alla fine tende sempre a rimanere nell’armadio.
Giuro, sto cercando di capire se la pecca del gioco è quella di non piacere ai tuoi amici o il fatto che si trovi in commercio.

Gioco leggero. Piacevole il sistema di gestione delle scalate (non riesco a fare tre giri di fila senza uscire di strada… chissà perché).
Io un paio di idee le avrei.
P.S.: Considerato che quella che leggete è l’intera recensione, è meglio chiarire che per scalate l’autore intende l’inserimento di marce inferiori. Il rendere pubblica la propria incapacità di giocare può essere definito “una perla”.

Occhio critico – Quoridor

Bel gioco, anche se dopo un po’ stanca, soprattutto se si gioca sempre con la stessa persona.
Tu non sei uno di quelli che “una donna è per sempre” vero?

Molto divertente e strategico in 4, purtroppo in 2 perde molto.
Essendo un gioco pensato per due, con l’aggiunta di una variante per 4 direi che hai compreso appieno il concetto.

Divertente e originale. Unico difetto: se vengono fatte alcune mosse scellerate all’inizio la partita è già segnata.
Non una, più mosse scellerate. Non una, più ditate negli occhi. E pretendere di vederci ancora come un falco.

Giocando si costruisce un vero e proprio labirinto e devo dire che questo regala anche un’esperienza estetica non da poco. Consigliatissimo.
Spero di non dover mai ammirare i quadri appesi alle pareti di casa tua.

Occhio critico – Introduzione

Oramai è passato un po’ di tempo da quando ho cominciato ad interessarmi di giochi da tavolo, e sono guarito dalle sue due più terribili affezioni: l’acquisto compulsivo e l’occhio di Peter Pan.

Guarire dall’acquisto compulsivo è facile: quando capisci di esserti ridotto come i contadini di Agricola, ovvero con la psicosi di non riuscire a mangiare nella fase di raccolto (= fine mese) capisci pure che è il caso di comprare più pane e formaggio e meno dadi, token e meeples.
Guarire dall’occhio di Peter Pan non è invece così scontato ed è collegato all’aspirazione di diventare un “esperto” o, perlomeno, un conoscitore del campo che ti appassiona.
Nel caso dei giochi da tavolo la summenzionata aspirazione è la punta di uno spillo: l’idea di un passo falso ti fa piombare dalla cima della conoscenza al baratro del grottesco, dove i tuoi estimatori non sanno se ridere delle boiate che dici o piangere all’idea che sei convinto di quanto appena asserito.

La frase “Mi piace perché…” è il punto di volta che divide l’appassionato dall’esperto.

“K2 mi è piaciuto perché mi ricorda quando ero da solo in cima al Pizzo Molare in novembre”.
E’ un appassionato di montagna che parla, ricorda le sue emozioni, se ne frega delle meccaniche, del downtime, dell’alea e di tutti i paroloni con cui gli esperti si riempiono la bocca (attenzione! Al momento non ho ancora detto di NON essere un esperto…).

“K2 mi piace perché devo riuscire ad adattare la mia strategia alle mutevoli condizioni delle mie pedine sulla plancia”.
Cominciamo a sfiorare il gusto del gioco (pochi di noi sono alpinisti himalayani, e quei pochi di solito o non giocano a K2 o non leggono questo blog). K2 ha un meccanismo che obbliga alla speculazione di cosa poter fare. L’assertore della frase non sa come funziona, ma gli piace; siamo ancora nell’ambito delle sensazioni, ma qui sono le sensazioni che dà il gioco, non l’esperienza al di fuori del gioco.

“K2 mi piace perché, partendo fondamentalmente dal gioco dell’oca è riuscito ad introdurre la variabile “sforzo” tramite delle carte pescate alla cieca che permettono il movimento e la variabile “meteo” data da delle plance scelte a caso su un percorso che graficamente rappresenta il raggiungimento di una vetta. Queste meccaniche ben si sposano con l’ambiente della montagna, mai prevedibile”.
Cosa ho letto? Ho letto di un gioco che ricorda la montagna, in cui devo spostare delle pedine su un tracciato grazie a delle carte e delle plance che non sono determinate in precedenza ma vengono scoperte a caso e so che l’aleatorietà è un punto molto presente in questo gioco. Ho quindi praticamente tutti gli elementi per poter decidere se continuare ad informarmi o se cercare qualcos’altro.

Tutto questo per dire cosa?
Per dire che oramai non è più tutto oro quello che luccica ai miei occhi. Che vi sono anche giochi brutti e noiosi (per me), ma che devo, se voglio essere un esperto e non un pagliaccio, saper scindere le mie esperienze e le mie sensazioni da quello che il gioco è in realtà.
E non devo gridare al miracolo solo perché tutti gridano al miracolo a seguito della moda, o gridare schifo quando tutti gridano miracolo perché fa più connaisseur da salotto mondano.
E a volte è meglio non gridare.

Il primo gioco di cui ho osservato le “grida” è stato Quoridor, non so le recensioni, ma i miei commenti sì che son scritti di getto.