Quando si parla di differenziazione didattica in ambito scolastico c’è una certa difficoltà a trovare una definizione unanime e comprendere l’efficacia del tutto.
Vige una certa ignoranza e confusione in merito.
In ambito accademico, la stessa Tomlinson, “colei che ha dato il via ed è riconosciuta a livello internazionale come l’ideatrice della differenziazione didattica” (d’Alonzo in: Tomlinson, p. 8), afferma:
“Imparare a differenziare l’istruzione non è una ricerca facile e veloce.”
(Tomlinson in: d’Alonzo & Monauni, p. 27)
Oltretutto: “Non c’è un unico ‘modo giusto’ per mettere in atto efficacemente la differenziazione didattica”.
(Tomlinson, p. 21)
Ciò che però sappiamo è che differenziare in modo efficace non significa differenziare tutto il tempo e non significa nemmeno prevedere un’istruzione individualizzata per ogni singolo studente (sarebbe una pazzia sia da un punto di vista operativo che da un punto di vista educativo).
“Gli insegnanti non devono differenziare tutti gli elementi in tutti i modi possibili in ogni attività. Un’efficace differenziazione didattica include molti momenti in cui le attività non sono differenziate in classe“.
(Tomlinson, p. 34)
“La differenziazione non è un percorso di istruzione individualizzato per ogni singolo studente o un setting di apprendimento dove ognuno esegue compiti adatti a lui/lei.”
(d’Alonzo, Ognuno è speciale, p. 51)
“Sarebbe un assurdo dal punto di vista operativo pensare che ogni alunno possa avere il proprio Piano di Studio, composto da tante UdA individuali. […] Se personalizzare volesse dire creare delle isole, questo sarebbe la negazione dell’educazione e porterebbe all’emarginazione sociale.”
(Petracca in: d’Alonzo, Ognuno è speciale, p. 138)
“Al docente, per differenziare, non occorre avere dati singoli e disaggregati […], non è necessario entrare nello specifico e in modo dettagliato nella rivelazione micrometrica delle caratteristiche di ogni singolo alunno, ma individuare nuclei di Profili emergenti, nei confronti dei quali mettere in atto un processo di differenziazione didattica. Il livello di dettaglio di analisi può casomai aumentare qualora si avertisse la necessità di approfondire la conoscenza di alunni che manifestano BES”.
(d’Alonzo, Ognuno è speciale, p. 82)
In altri termini, ciò che potrebbe aver senso fare è progettare per i “bordi” della classe al posto di una progettazione per una presunta mediana di classe (d’Alonzo & Monauni, p. 74), considerando macro-gruppi di allievi più che singoli allievi e adattarsi di volta in volta al contesto e alle situazioni che si vengono a creare.
Tra le strategie da poter utilizzare nella differenziazione didattica abbiamo varie opzioni (d’Alonzo & Monauni, p. 195; d’Alonzo, Ognuno è speciale, pp. 92-94), alcune più efficaci di altre.
Nello specifico si parla di riduzione di tempi e di contenuti, materiale facilitante, aggiunte e potenziamenti,
stratificazione (attività, compiti ed esercizi articolati su differenti gradi di complessità),
cooperative learning, lavoro di coppie, peer tutoring,
stazioni di lavoro, attività manuali, simulazioni,
schemi e mappe concettuali,
centri di interesse, menu planner, tabelle a scelta multipla,
ecc.
Il consiglio che viene dato nella letteratura è di iniziare implementando una strategia alla volta, per poi eventualmente abbinare più strategie assieme (d’Alonzo & Monauni, p. 193).
In termini di efficacia, le meta-analisi di John Hattie ci danno dei preziosi indizi (Hattie, pp. 266-268).
Il motivo per cui dalla lista soprastante sono state tranciate alcune strategie, è perché secondo la evidence based education non risultano particolarmente efficaci e quindi sono trascurabili.
- Strategie di differenziazione con bassa efficacia: student control over learning, ability grouping, multi-grade/multi-age classes, matching style of learning, individualized instruction.
- Strategie di differenziazione con media efficacia: Cooperative Learning, Mastery Learning (dare a tutti il tempo necessario per imparare un argomento o una competenza, prima di passare ad altro), peer tutoring, Keller’s Master Learning (tramite materiale scritto, ognuno procede alla sua velocità seguendo a volte una sequenza libera degli argomenti da affrontare), play programs, time on task, adjunct aids, simulations.
- Strategie di differenziazione con alta efficacia: concept mapping.
Lasciare scegliere agli studenti quale attività svolgere, è la strategia di differenziazione con la più bassa efficacia in assoluto.
“The empirical findings concerning the benefits of choice are equivocal and confusing. […]
Clarification of relevance to students’ goals predicts positive affect and engagement better than the amount of choice given to students.”
(Katz & Assor in: Moè, p. 144)
Creare menu planner e tabelle a scelta multipla è esoso, costa parecchia fatica, senza che ci siano dei reali benefici in termini di efficacia. La domanda che uno dunque potrebbe legittimamente porsi è: perché farli?
Il problema dell’eccessivo carico di lavoro causato dalle strategie di differenziazione, lo si evince anche analizzando due strategie di differenziazione prese in considerazione da Hattie, ma assenti nella letteratura contemporanea legata alla differenziazione. Il Mastery Learning e il Keller’s Master Learning sono due buoni esempi di differenziazione efficace, ma caduti in disuso a causa – tra le varie cose – dell’eccessiva mole di lavoro che richiedevano ai docenti. Questo aspetto non è da sottovalutare. È facile come quadro pretendere dai docenti metodologie belle sulla carta, ma se poi alla prova dei fatti è una sfida che porta i docenti allo stremo delle forze, il rischio è di ottenere un fenomeno mai visto prima, quello della fuga dall’insegnamento (d’Alonzo in: Tomlinson, p. 5), con conseguenze di fatto catastrofiche per gli studenti.
Dalle meta-analisi di Hattie si può inoltre notare come le pluri-classi siano poco performanti, come anche la tradizione presente nelle scuole ticinesi di svolgere attività con gruppi di livello di competenza, in base alle abilità degli allievi (soprattutto nel primo ciclo). Una buona differenziazione consiste nel variare modalità di insegnamento (a coppie, individualmente, a grande gruppo, ecc.) cercando di far interagire tra di loro bambini della stessa età con livelli di competenza diversi.
Sempre secondo Hattie, proporre attività ludiche in ambito scolastico risulta essere una strategia efficace.
I giochi da tavolo, se proposti in forma cooperativa, sfruttando lavori a coppie, schemi e mappe concettuali (magari mentre si assimilano i regolamenti), possono risultare uno strumento valido e ragionevole.
Di norma, inoltre, è meglio se è il docente a decidere quali giochi da tavolo svolgere, spiegando il motivo agli allievi, e chi giocherà con chi (coppie eterogenee). Tramite le stazioni di lavoro, si possono proporre più giochi alla volta (non andrei oltre ai tre giochi diversi), con eventualmente una stazione jolly da sfruttare come potenziamento.
Effettuando un esempio concreto di una classe di 18 allievi (la media a livello ticinese è di 18 allievi per classe): alla prima postazione ci sono tre copie del gioco A con tre coppie di allievi, alla seconda postazione ci sono tre copie del gioco B con tre coppie di allievi, alla terza postazione ci sono tre copie del gioco C con tre coppie di allievi. La stazione jolly è sfruttabile in caso di necessità. Ogni tot minuti si cambia postazione.
In questo modo per il docente proporre giochi da tavolo risulta fattibile (anche se è da solo) ed è un modo interessante di differenziare l’attività didattica, senza che il tutto richieda uno sforzo eccessivo.
Bibliografia:
– Luigi d’Alonzo, La differenziazione didattica per l’inclusione. Metodi, strategie, attività, Erickson, 2016
– Luigi d’Alonzo (A cura di), Ognuno è speciale. Strategie per la didattica differenziata, Pearson, 2019
– Luigi d’Alonzo & Anna Monauni, Che cos’è la differenziazione didattica. Per una scuola inclusiva ed innovativa, Scholé, 2021
– Carol Ann Tomlinson, La differenziazione didattica in classe. Per rispondere ai bisogni di tutti gli alunni, Scholé, 2022
– John Hattie, Visible Learning for Teachers. Maximizing Impact on Learning, Routledge, 2012
– Angelica Moè, Il piacere di imparare e di insegnare. Pensieri, ambienti e persone motivanti, 2019